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Sulle terre rosse e su una parte delle terre grigie dell’Oklahoma le ultime piogge furono leggere, e non lasciarono traccia sui terreni arati. Le lame passarono e ripassarono spianando i solchi piovani. Le ultime piogge fecero rialzare in fretta il mais e sparsero colonie di gramigna e ortiche ai lati delle strade, tanto che le terre grigie e le terre rosso-scure cominciarono a sparire sotto una coltre verde. Nell’ultima parte di maggio il cielo si fece pallido, e scomparvero le nuvole che in primavera avevano indugiato così a lungo con i loro alti pennacchi. Il sole prese a picchiare giorno dopo giorno sul mais in erba, fino a screziare di bruno gli orli di ogni baionetta verde. Le nuvole ricomparvero, e si dileguarono senza tornare più. La gramigna si fece di un verde più scuro per difendersi dal sole, e smise di propagarsi. Il suolo si ricoprì di una crosta dura e sottile, e man mano che il cielo impallidiva, anche il suolo impallidiva, facendosi rosa nelle terre rosse e bianco nelle terre grigie.
Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano.
Eccovi dunque la città insulare dei Manhattanesi circondata da banchine, come le isole indiane da scogliere di corallo: il commercio la cinge con la sua risacca. A destra e a sinistra le vie vi conducono al mare. Il suo punto più centrale è il Bastione, dove quella mole illustre è ventilata dalle brezze e bagnata dalle onde che poche ore prima erano fuori vista da terra. Guardate la folla dei contemplatori dell’acqua.
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